sexta-feira, 18 de janeiro de 2008

Rave I


Più volte ho cercato di fare osservazione partecipante in una festa Rave, o in un evento con musica elettronica. Sin dall' inizio sapevo che più che osservare la situazione sociale, ciò che succedeva, le dinamiche dei gruppi, le forme di interazione, gli stili estetici, etc., avrei dovuto "sentire" .
Le prime esperienze, ancora da sociologo, mi insegnarono, in un breve periodo, che all'interno di una Rave non c'erano gruppi, ne tutto sommato socialità, ossia dinamiche riconoscibili di "tribu" urbane o di piccoli collettivi estetici. A volte mi era parso che 4 o 5 Clubber si distinguessero perchè danzavano prossimi ma, in poco tempo, il gruppetto si disfaceva e ogni uno planava altrove.
Era come se, una volta superato l'ingresso, il sociale finisse e con esso anche le forme di individualità estetiche. Tornando a casa, sempre all' alba, il mio quadernino dove ero solito raccogliere le mie osservazioni e gli appunti, era praticamente vuoto.
Cercai allora di organizzare una tipologia di tipi di eventi, distinguendoli, sia in termini di organizzazione che in termini topografici. Al lato dei grandi raduni urbani, generalmente sponsorizzati da grandi imprese, vi erano gli incontri extra-polis, ossia in contesti naturali e all'aperto. Nel caso del Brasile si svolgevano soprattutto sul litorale o all' interno, in fazendas, ci furono anche alcune raves in foresta, in Amazzonia, o nella mata atlantica. Ma col tempo anche questa divisione mi sembrò poco eloquente, il limite tra la festa privata ad invito sullo stile delle TAZ, o quella piu istituzionale, con DJ internazionali e grandi sponsor, col tempo si andò assotigliando e indebolendo.
Mi ricordo che all' epoca avevo pensato di interpretare le Rave alla luce della TAZ e delle interpretazioni fornite da Hakim Bey sulle forme di riappropriazione temporaria dei corpi e degli spazi, e sulla critica alle forme dialettiche dell'abitare politico.
Ma col passare del tempo mi resi conto che l'immaginario dell'area temporariamente liberata era pressochè assente e che, sempre di più, le Raves si proponevano mondialmente all'interno di una certa istituzionalità, sia in termini di organizzazione, sia in termini di spazi.
L'ultima interpretazione sociologica possibile era, ovviamente, quella che rimandava alle vecchie logiche di classe e di esclusione, ossia alla distinzione tra le Raves con il biglietto d' ingresso ad alto costo e quelle gratis, o quasi. A rimuovere tale pensiero, che nel disuguale contesto sociale brasiliano si imponeva con forza, fu la visione di un film-documentario, realizzato da alcuni alunni della Eca che si proponeva di approfondire il tema. Il film dal titolo polissemico, "Cavallo di Troia", che alludeva tanto all' antico stratagemma per realizzare l'invasione della inespugnabile città, quanto al noto virus diffuso in quel periodo, mostrava le diverse forme escogitate dai ragazzi meno abbienti per entrare alle raves evitando l'ingresso ufficiale e il biglietto. La camera seguiva le sortite dei passaggi nella foresta, i percorsi aspri fatti per agirare i controlli e per permettere a tutti di accedere. Anzi, dalle interviste appariva evidente come fosse questo, per i gruppi che si avventuravano nei percorsi accidentati, l'elemento elettrizzante e trasgressivo che sostituiva le vecchie forme di riappropriazione degli spazi tradizionali. Insomma, nessuna pista soddisfacente che potesse ripropormi un ordine sociale all'interno del quale interpretare sociologicamente l'evento.
Non mi diedi per vinto e tornai alla carica, questa volta con l'occhio giusto che, più che sulle dinamiche sociali, si proponeva di dirigere l' osservaizone su quelle corporali e sulle forme ritualistiche e simboliche delle raves.
Avevo optato per un'esperienza etnografica che rivelasse attraverso l'osservazone antropologica i significati socio-culturali che non riuscivo a decifrare con le categorie interpretative della sociologia.

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